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lunedì 23 dicembre 2019

Amedit n° 41 | inverno 2019/20


Millenni di conquiste sul piano sociale e individuale hanno dato come risultato quello che abbiamo tutti quanti sotto gli occhi: un profondo senso di inadeguatezza e di perenne precarietà che lega a un comune destino le miserie dell’uomo medio e gli splendori delle personalità più brillanti. Le tecnologie ci hanno ripuliti dei fetori medievali, il progresso ha ingentilito i nostri costumi, il benessere ha gonfiato le nostre ambizioni, tuttavia la struttura portante della grande illusione civile è marcia e pericolante. Viviamo in una società che non riconosce i meriti, che denigra i talenti e spegne gli entusiasmi, e che spesso ignora finanche i nostri bisogni primari. Più che come Persone o Cittadini siamo riconosciuti come consumatori e telespettatori, fagocitati negli ingranaggi sporchi di una macchina capitalistica che ci riduce in target. Dietro i suoi belletti, dietro le sue superfici patinate la società attuale rivela impietosamente il suo assetto di giungla; come in un vizio di forma l’errore si replica di generazione in generazione, ed è proprio quando crediamo di essere a un passo dalla svolta che tutto ripiomba esattamente al punto di partenza. Grande assente, irriducibile bugiardo, lo Stato bracconiere è il primo responsabile della grande estinzione valoriale in cui le dignità autonome annaspano per sopravvivere. Uno Stato che si è sottratto ai suoi doveri, preoccupato com’è di tutelare solo se stesso; che nega diritti e non investe in cultura; che promuove, alimenta e legalizza una sorta di ignoranza istituzionalizzata, assecondando gusti e retrogusti dell’uomo medio è, in definitiva, più pericoloso e iniquo di un regime dittatoriale, poiché agisce contro gli interessi del cittadino e mina i fondamenti stessi della democrazia. Agli albori di questo nuovo Ventennio ci attende quindi una nuova sfida: quella di saper rinascere, come l’araba fenice, dalle ceneri di una civiltà svilita e mortificata proprio da chi avrebbe dovuto prendersene cura.

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